Eredi di Bruce Lee?

 

«Per  ragioni di sicurezza la vita, che non ha limiti, viene trasformata in qualcosa di morto, in un modello che ha dei limiti. Per capire il Jeet Kune Do, getta alle ortiche tutti gli schemi, tutti i modelli, tutti gli stili e lo stesso concetto di ciò che è o non è ideale nel Jeet Kune Do. Sai definire una situazione senza darle un nome? Definire, dare un nome, fa paura».

Bruce Lee, Jeet Kune Do, p. 16 [corsivo mio]

 

«La sostanza del pensiero è la vera essenza, e il pensiero è la funzione della vera essenza. Pensare all’essenza, definirla con il pensiero significa contaminarla, alterarla».

Bruce Lee, Jeet Kune Do, p. 17

 

In un puntata di uno dei cartoni animati più interessanti degli anni 80, Ken il guerriero, il protagonista Kenshiro dice ad un avversario: «Il mio corpo è il risultato di 2000 anni di esperienza; non saresti mai riuscito a battermi». Risultato: qualcosa che arriva come conseguenza di una preparazione, uno studio, un allenamento…insomma un movimento, non uno stare fermi. Cosa sarebbe accaduto, infatti, se in quei 2000 anni i maestri di Ken si fossero fermati a quello che già sapevano fino ad allora? Più o meno la stessa cosa che sarebbe accaduta se Einstein si fosse fermato alla fisica di Newton o Jimi Hendrix al blues di B.B. King: non ci sarebbe stata evoluzione.

La stessa cosa che sarebbe successa se Bruce Lee si fosse fermato al Wing Chun di Ip Man. Invece andò oltre e nacque il Jeet Kune Do: Lee aveva capito che fermarsi e dare per scontate alcune verità, “togliere” dal flusso senza fine dell’evoluzione storica, dal tempo una disciplina come l’arte marziale avrebbe significato fermarla. Condannarla all’assenza di movimento, proprio essa che di movimenti vive.

Per questa ragione, del suo libro Jeet Kune Do che ho citato in apertura, le parti più importanti sono l’inizio e la fine. Ovvero: quelle sul metodo di studio, e per nulla le parti tecniche in cui si parla di pugni, calci, parate, lotta, etc. Il Jeet Kune Do ha un’anima intrinsecamente nichilista: ha in sé stesso il seme del proprio superamento. E Lee non solo lo sapeva bene, ma lo raccomandava caldamente:

«Per capire il Jeet Kune Do, getta alle ortiche tutti gli schemi, tutti i modelli, tutti gli stili e lo stesso concetto di ciò che è o non è ideale nel Jeet Kune Do».

Ci sta dicendo: ok ragazzi, io supero il Wing Chun facendo il Jeet Kune Do. Mi raccomando non rendete la mia soluzione un altro problema: a suo tempo, sappiate superarmi.

I termini che riecheggiano sono:

– «limiti»: la vita per Lee non ha limiti, quindi nemmeno un’arte marziale deve darsene. Nemmeno se è il Jeet Kune Do.

– «schemi»: lo schema è solo un nome, serve come mezzo per un fine. La realtà, però, è fluida e questo non va mai dimenticato.

– «evoluzione»: il pensiero evolve continuamente, non è morto. Altrimenti non 2000, ma 10000 anni non porterebbero ad altro che a stasi tecnica.

Esistono pochissimi innovatori fedeli all’intuizione di Bruce Lee. Ve ne citerò quattro, che sono stranamente (ma mica tanto, a questo punto) fuori dai circuiti ufficiali delle organizzazioni che recano il nome «Jeet Kune Do». Tre sono di fama mondiale, resi famosi da film e origini orientali. Il quarto lo abbiamo qui in Italia, come un prodotto DOP che però facciamo fatica ad esportare. Come chi va a mangiare in un ristorante a Vienna e sotto casa ha un gourmet d’eccezione. Tutti e quattro, comunque, di un’abilità unica e disarmante, e assolutamente più in linea con l’evoluzione teorizzata da Lee di tutti gli adepti dei sistemi oramai “chiusi” sotto i nomi, ben più commerciali, di JKD e Wing Chun.

 

1) Il Wing Flow  di Mark Stas: fluidità e interdisciplinarità marziale sono le parole d’ordine. Stas sta diventando famosissimo per la sua velocità, fluidità, alcune esperienze cinematografiche e un grande carisma. Da provare: uno che non ha paura di cambiare le cose.

 

2) Il Wing Revolution di Victor Gutierrez: sposa già nel nome l’idea di evoluzione, cambiamento, il non fermarsi agli schemi passati del Wing Tsun da cui deriva. Molto più mobile del suo antenato marziale…e mobilità è sempre movimento.

 

3) Il Keysi Fighting Method (KFM) di Justo Dieguez Serrano e Andy Norman, divenuto famoso perché usato da Christian Bale per far combattere Batman nella trilogia nolaniana sul Cavaliere Oscuro e da Tom Cruise per Jack Reacher. La testa è la prima cosa da proteggere, ma anche da usare: per evolvere serve il Pensador. Il pensiero.

 

4) L’ Infinity Martial System (IMS) di Giuseppe De Rosa: il nostro Made In Italy, esistente dal 2010 circa in territorio piemontese. Assolutamente all’altezza degli altri tre, meno noto a causa della normale minore risonanza che il Made in Italy paga davanti all’esotico e all’esterofilo a cui ci ha abituato Bruce Lee. Ma assolutamente all’avanguardia e profondamente dentro la logica dell’evoluzione infinita…che non ha limiti.

 

Io ho scelto il maestro De Rosa per questo: l’ IMS non ha paura di andare oltre. Sa di essere in debito con Lee e Ip Man, ma non più di quanto lo sia con le proprie riflessioni sull’avvento dell’MMA, l’incredibile efficacia di un pugile, i devastanti low kick di un thai boxer. Ho orecchie e occhi puntati su Stas, Keysi e qualsiasi sistema innovativo. Non è escluso che sul suolo italiano ne esistano altri, ma è normale che io non possa sapere tutto e anzi: ben venga conoscerli. Se ci siete, fatevi sentire perché siete Made in Italy di qualità ed efficacia.

Io ho scelto l’IMS perché un maestro devi viverlo a fondo, non vederlo una volta all’anno. Perché ho deciso di conoscere a fondo l’evoluzione e viverla. Fondamentale: non l’ho scelto perché è il mio maestro. È il mio Maestro perché l’ho scelto. Un uomo che evolve ogni sera, nella propria bottega marziale, sotto la Mole Antonelliana (cfr. La strana storiella del pittore pazzo in Bonifati 2016, pp. 38-43, vedi bibliografia minima).

La fluidità, il movimento di idee e corpi, il pensiero, l’evoluzione e l’infinito: tutto questo accomuna questi grandi maestri di cui vi ho parlato. Non a caso, credo, anche come cambiamenti tecnici rispetto al passato si sono ritrovati allineati (per esempio una maggiore attenzione alla protezione della testa e la gestione della protezione genitale senza sacrificare la boxata).

Ma di questo parleremo in seguito. Per adesso, il messaggio giusto è ricerca infinita. L’ Infinity Martial System è prima di tutto quello.

Mark Bonifati

 

BIBLIOGRAFIA MINIMA:

– Lee, Bruce, Jeet Kune Do, Edizioni Mediterranee, Roma 2010.

– Bonifati, Mark, Strani Racconti Zen. Curiose Vicende di uomini e mondi, Streetlib, Milano 2016.



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